a cura di Phenomena e Salvatore Mennea
 
Caleidoscopico e sfuggente, Profondo Rosso incarna tutte le qualità di un thriller fatto ad arte, discostandosi notevolmente dalle realizzazioni precedenti di Argento e donando al cinema italiano qualcosa di irripetibile.
Il sipario si alza su una conferenza di parapsicologia tenuta dalla famosa sensitiva tedesca Helga Ulmann (Macha Mèril), la quale avverte una presenza criminale tra il pubblico e decide di mettere per iscritto le sue visioni la sera stessa, a casa.
Inutile dire che l'assassino prontamente la raggiunge e la elimina nella sua abitazione in modo brutale e diabolico, con una grossa accetta da macellaio. Testimone dell'efferrato omicidio è Mark Daly (David Hemmings), un giovane pianista americano arrivato a Roma per insegnare jazz che inavvertitamente alza lo sguardo verso la finestra della medium mentre ella invoca disperatamente aiuto. Precipitandosi tempestivamente nell'appartamento della Ulmann, il protagonista trova il cadavere in un lago di sangue e all'arrivo della polizia fa la conoscenza di Gianna Brezzi (Daria Nicolodi), un'affascinante giornalista con la quale comincia ad investigare.
Il tutto confluirà in un finale dai toni grandguignoleschi. E' forse il film più conosciuto del regista romano, il quale originariamente lo aveva intitolato La tigre dai denti di sciabola, forse per restare fedele alla sua personale abitudine di inserire animali nei titoli dei propri film, ma è anche il più enigmatico dei suoi lavori, poichè risulta composto da un'infinità di particolari che deviano lo spettatore da quello che è il suo intento primario: individuare l'assassino. Ed è quasi impossibile riuscire in questa impresa, a meno che non si disponga di ottime conoscenze nel campo della psicologia o un occhio analitico capace di cogliere i minimi particolari che Argento ci concede nei 126 minuti di Profondo Rosso.
 
Il regista paralizza alla poltrona lo spettatore e lo trasforma in parte integrante del film, catapultandolo in un turbine nefasto di colori, suoni, situazioni particolari. Quest'ultimo si ritrova inaspettatamente in un duplice ruolo ambiguo ed inusuale. Non più apatico e passivo come accadeva nella maggior parte dei gialli del periodo, ma può immedesimarsi in simultanea con l'assassino (geniali le riprese sulle scarpe che cigolano sul pavimento, sui guanti di pelle, sugli occhi stessi del killer) e con la vittima di turno fatta fuori con reboante ferocia. 
Una specie di viaggio a ritroso nel tempo, in turbe infantili, sempre alla disperata ricerca di indizi, di quel particolare, di quella chiave rivelatrice del segreto che sta a cuore sapere, eppure la soluzione bazzica nella mente in quanto già vista e assaporata. 
Ipnotiche, martellanti, suggestive e surreali le musiche dei Goblin (ma anche del jazzista Giorgio Gaslini) sicuramente nella loro soundtrack più famosa e conosciuta, ancora oggi oggetto di svariate cover. 
Mansione a parte per i due attori principali ovvero David Hemmings e Daria Nicolodi che con i loro battibecchi e botta e risposta stemperano di quel minimo la tensione attraverso uno humour delicato e raffinato.
La sceneggiatura passa inevitabilmente in secondo piano, anche se notevole è l'importanza che essa riveste. Il regista riscrisse e rivide il prototipo di Bernardino Zapponi in volontario isolamento presso una desolata casa romana. 
Non possiamo non nominare gli effetti speciali a cura di Carlo Rambaldi, a dir poco veritieri e cruenti. A farla da padrone in questa pellicola del 1975 sono sicuramente la scenografia e l'ambientazione; la città di Mark è una Roma malsana e irreale (Argento decise di girare il film tra la capitale e Torino proprio per smarrire lo spettatore), abitata da fantocci animati più che da persone con lo sguardo vivo, in cui lui e Gianna sembrano gli unici esseri viventi che tentano di far realmente luce sui delitti. Da notare l'enorme differenza tra esterni ed interni: mentre i primi sembrano quasi rassicuranti, gli interni di qualsiasi abitazione del film (in particolar modo quelli della sentitiva) appaiono raccapriccianti e inusuali; quadri di macabra bellezza, porte a vetro di intuitiva pericolosità, scalinate e tetre cantine se non che l'immancabile presenza dell'elemento aquatico simboleggiante la follia. Dell'assassino ovviamente. 
All'occhio dello spettatore risalta maestosa Villa Scott. Situata sulle colline torinesi, la rinomata Villa del bambino urlante è teatro delle indagini del nostro protagonista. Durante il soggiorno per le riprese Dario Argento utilizzò realmente gli interni, e non ricostruzioni negli studi. Sorse però un quiproquo in quanto la villa era sede di un istituto gestito da delle suore che opposero il loro veto per le riprese. Per ovviare a questo imprevisto il regista mandò gentilmente suore e alunne in vacanza a Rimini.
Il tutto per produrre un'opera di sublime fascino e di perversa bellezza, riscontrabile nella sequenza delle biglie, dei bambolotti legati da un cappio al collo e nelle note di una terrificante nenia infantile, periferica di input per la follia omicida dell'assassino, così futile ma promotrice di delirio se sottoposta all'ascolto del crudele folle. Profondo Rosso quindi è uno di quei film che a parer nostro vanno visti più di una volta, sia per gustarsi dettagli che ad una prima visione sicuramente sfuggono, che per apprezzare maggiormente il grande stile di Dario Argento, un maestro indiscusso dell'horror che ultimamente sembra aver perso la retta via.
 

Curiosità varie: in seguito alla realizzazione di Deep Red, Darione salirà alla ribalta internazionale e diventerà regista di caratura mondiale. Apprezzato in molti paesi del globo, Profondo Rosso verrà distribuito in Giappone con il titolo di Suspira Part II. Entrambi otterranno un successo planetario. Parole di elogio verranno spese per il nostro amato regista addirittura da Alfred Hitchcock che in un'intervista affermò testualmente:''Questo giovane ragazzo italiano inizia a preoccuparmi''. Il fantoccio animato che assale Giordani nella sua abitazione ha le fattezze del bimbo deforme che rinverremo in un altro film del regista romano, ovvero Phenomena. 
Da questa pellicola in poi partirà la love story tra l'introverso regista e la splendida Daria Nicolodi dal cui matrimonio verrà alla luce la figlia Asia. 
La sadica e perversa bambina dalle mente contorta che tortura le povere lucertole è Nicoletta Elmi, attrice feticcio di molti registi. Numerose sono infatti le comparsate in tanti film di quegli anni (Reazione a Catena, Gli orrori del Castello di Norimberga, Demoni).
Il personaggio interpretato dalla Nicolodi è esistito veramente: Gianna Brezzi era nientemeno che una collega/amica di Argento nella redazione di Paese Sera, nei suoi trascorsi di critico cinematografico.